Eravamo all’inizio del mese di giugno e faceva caldo, il grano andava colorandosi di giallo e le ciliegie più dolci, non le prime, che sono poco saporite, erano mature.
Il raccolto sembrava promettere bene, ma ecco che un po’ alla volta cominciarono ad arrivare i nemici: passeri, merli, storni e altri uccelli che, sempre più numerosi, avevano scoperto quello che a loro certamente sembrava un supermercato pieno di cose buone, il mio campo!
Oltretutto non occorreva nemmeno passare alla cassa per pagare, mangiavano finché il pancino era pieno e poi se ne andavano per poi ripresentarsi appena la fame tornava a farsi sentire. Ero demoralizzato, non potevo permettere che il mio raccolto finisse tutto nella pancia dei passeri. Avevo piantato il grano e i ciliegi per raccogliere, venderne il prodotto e ricavarne soldini per me e la mia famiglia.
Che fare?
Non potevo stare tutto il giorno a sorvegliare, avevo altri campi da lavorare.
Decisi allora di assumere uno spaventapasseri professionista.
Una mattina presto, all’alba, andai a Faenza, in piazza e assunsi alle mie dipendenze Pirì, uno spaventapasseri dallo sguardo sveglio e onesto. Ci accordammo per la paga giornaliera e lo portai a casa mia. Lo accompagnai nel campo di grano.
Lì vicino, i ciliegi con la frutta quasi matura attendevano di essere difesi dagli assalti. Lasciai Pirì al suo lavoro e andai in un altro campo lontano qualche centinaio di metri più in là.
Nel pomeriggio tornai dallo spaventapasseri per controllare il lavoro e…rimasi di sasso: disastro! Centinaia, ma che dico, migliaia, forse, di uccellini tutti attorno a Pirì che volavano, cinguettavano, ridevano allegramente e intanto… mangiavano! Pungevano col becco, assaggiavano le ciliegie scegliendo le più mature e le più dolci senza dimenticare di aver fatto prima, una scorpacciata di chicchi di grano!!!
Ero sbalordito. E Pirì? Tranquillo sorrideva, rispondeva ai saluti degli uccellini che si posavano sul suo cappello, scherzando con lui; addirittura gli avevano costruito un nido sulla spalla!
Era troppo, presi un lungo bastone e mi lanciai di corsa contro quella banda di ladri. Urlavo: “Andate via maledetti schifosi! Andate a mangiare da un’altra parte!” e roteavo in aria il bastone cercando di scacciarli dal mio campo.
Li mandai via tutti , anche i più testardi un po’ alla volta se ne andarono.
A questo punto tenendo sempre il bastone in mano mi avvicinai a Pirì e gli chiesi: “ e adesso come la mettiamo? E questi che lavori sono? Io ti ho assunto con regolare paga sindacale per mandare via i passeri dal mio campo e invece cosa mi ritrovo? Vengo qua ed ecco! Tantissimi uccellini che si divertono con te e soprattutto mangiano come se fosse una festa riservata a loro! Pretendo spiegazioni e subito!” Pirì taceva. “Voglio sapere – continuai – il motivo di questa storia! Sei un traditore!” gli dissi. E lo guardai dritto negli occhi con uno sguardo che avrebbe potuto incendiare la paglia di cui era fatto.
“Ma io… – si sentì una debole vocina – “Aspetto ancora una risposta” – gli dissi. “Ma io – riprese Pirì sempre a voce bassa – da solo…ecco…mi annoio”. “Cosa?” – feci – “Sì – disse ancora lui – non mi piace stare da solo, mi annoio! Invece gli uccellini sono così simpatici, allegri, a loro piace cantare, scherzare, volare. Sto bene con loro!” Ero sempre più arrabbiato. “Ma chi credi di prendere i giro! – dissi – io ti licenzio in tronco!”. “No, per favore, non licenziarmi – disse Pirì implorando – non mi licenziare!”. “Ti licenzio sì, eccome se ti licenzio. E subito anche!”
“Per favore, non mi licenziare – chiese ancora Pirì – anche gli altri contadini non mi vogliono più perché non riesco a spaventare gli uccellini! Ma io come farò?” Effettivamente Pirì cominciava a farmi un po’ pena, ma ero deciso a togliermi di torno quell’incapace di spaventapasseri. Pirì continuò a chiedermi di non licenziarlo e, addirittura, qualche lacrimone iniziò a scendergli dagli occhi.
Ma come si fa, ditemi voi, a licenziare un tipo così simpatico? Mi ero anche un po’ commosso!
Allora dissi: “Senti un po’; per questa volta ti perdono e non ti licenzio, ma non posso lasciarti nel campo: non spaventi nemmeno un ranocchio! Ho pensato che ti cambierò lavoro.” E così lo accompagnai a casa, nell’aia. Scelsi un posto adatto, bene in vista e lo lasciai lì dandogli il compito importantissimo della prima accoglienza in fattoria ai bambini che vengono a trovarci per passare una giornata con noi.
Bè, ci credete? Fu un successo. Pirì è talmente simpatico che i bambini si divertono un sacco con lui a rubargli il cappello, a farsi fare la foto mentre gli danno la mano, a guardare le uova nel nido che ha sulla spalla, ad annusare il fiore che porta sempre con sé e frugargli nelle tasche per scoprire i giochi che ha preparato per loro. Da allora, quando abbiamo visite, Pirì è sempre al suo posto, a braccia aperte, non per spaventare, ma per accogliere e salutare i bambini e tutte le persone che arrivano in fattoria.
La sera, quando gli ospiti se ne sono andati, vado da Pirì e gli do la sua paga, gli metto i soldini in tasca e lui tira fuori dal taschino della camicia il suo zufolo di canna, sorride, inizia a suonare soffiandoci forte dentro e va in pizzeria a prendersi una pizza e una coca cola.