Era domenica, alla fine di luglio e, con tutta la famiglia, vista la bellissima giornata, avevo deciso di fare una bella gita al fiume.
Lasciai Annibale, il piccolo cane, di guardia davanti a casa e gli raccomandai di fare molta attenzione. Avevo avuto cura di preparargli in una ciotola di terracotta i nostri avanzi del giorno prima e anche l’acqua fresca.
Portai Pirì sotto al grande noce e lo lasciai lì a godersi l’ombra dopodiché ce ne andammo in auto diretti al fiume.
Appena la macchina fu lontana Pirì iniziò a ruotare la testa e a guardarsi attorno: “Che bella giornata – esclamò e si rivolse ad Annibale – che ne dici? Credo proprio che abbiano fatto bene ad andare a farsi un giro tutti quanti al fiume!” “Già già – rispose Annibale – a noi, però, tocca starcene qui!”
“Potremmo anche noi fare un giretto, non trovi? – disse Pirì, ma il cane scosse la testa – E la guardia chi la fa?”. “Ma con questo caldo a chi vuoi che venga in mente di venire a rubare in campagna! Dai accompagnami che andiamo a farci due passi!”
“Ti accompagno, ma solo fino in cima alla collina”, brontolò Annibale.
E così lo spaventapasseri lasciò l’albero a cui era appoggiato e il cane abbandonò il suo posto di guardia.
S’incamminarono pian piano sulla collina che saliva dietro casa e, raggiunta la cima, Pirì esclamò: “ma che bellezza! Da qui si vede anche la città!”. “Veramente io vedo solo peschi e susini – rispose il cane – come al solito nessuno pensa di mettere nei punti panoramici una postazione che aiuti quelli un po’ più bassi della media!”
Pirì si fece una risatina e poi abbassato un ramo di pesco, aiutò il cane a salirvi sopra. Annibale incespicò più volte, ma tenacemente, annaspando in maniera buffa, riuscì a salire sul ramo. “Ma guarda un po’ – abbaiò – quanto mondo che c’è attorno alla nostra fattoria! Mai che nessuno si sia degnato di dirmelo! Quanti campi! E come sono belli! Ma quanti cani ci saranno per fare la guardia a tutti?”.
Pirì sorrideva: “io faccio altri due passi e vado a vedere un po’ di mondo”. Annibale protestò: “io non posso abbandonare oltre la fattoria, devo per forza tornare a fare la guardia e sarebbe meglio tornassi a casa anche tu invece di fare il vagabondo!”. E detto fatto d’un balzo saltò giù dal ramo, fece un ruzzolone e due capriole sull’erba, si rialzò, si spolverò e con la coda ritta e lo sguardo fiero, s’incamminò, trotterellando in discesa, sulla carraia polverosa verso la fattoria.
Pirì si guardò attorno e scelse, un po’ a caso, la direzione da prendere per continuare la sua esplorazione. Camminava lentamente, si sa, gli spaventapasseri non possono certo correre, lungo un filare di vite. L’uva iniziava in quei giorni a prendere colore e Pirì si divertiva a guardare i grappoli e a contare quanti fossero gli acini che già erano diventati neri.
In uno ce n’erano già nove, in un altro sette e rideva pensando che, in capo a quindici giorni, l’uva sarebbe diventata tutta nera.
Un fremito in un cespuglio poco più in là attirò la sua attenzione; subito spalancò le braccia e s’irrigidì immobile. Non voleva che nessuno lo scoprisse a camminare, si sa che gli spaventapasseri non dovrebbero esserne capaci!
Da dietro il cespuglio, poco dopo spuntarono due lunghe orecchie e dopo le orecchie…un leprotto.
Era spaventato, si vedeva benissimo e andava avanti e indietro un pò in tutte le direzioni per tornare, poi al punto di partenza.
“Non ci capisco più niente!” – squittì il leprotto ad un certo punto. Eppure mi sembrava di essere venuto di là……o forse di qua……o forse era proprio dall’altra parte? Ci sono alberi dappertutto, e adesso come faccio?
Pirì decise d’intervenire: “Ehi, piccolo, ti sei perduto?
Il leprotto al sentire la voce fece un grande balzo e terrorizzato si nascondeva dietro al solito cespuglio tremando. Il cespuglio tremava con lui. Non aver paura, sono io! – disse Pirì; abbassò le braccia e fece un bel sorriso: “non ti farò del male, scommetto che ti sei perso perché eri curioso di vedere un po’ di mondo! Anch’io sono a spasso per quello e non dovrei, ma come si fa, in un giorno così bello a stare sempre fermi?” Il leprotto smise di tremare e le orecchie spuntarono di nuovo fuori dal cespuglio: “Bè, hai ragione – disse uscendo allo scoperto – mi sono proprio perso; mi è piaciuto camminare e saltellare fino qui, ma ora che vorrei tornare alla mia tana, dalla mamma e dai fratellini non ritrovo più la strada!. “Dimmi un po’ – disse Pirì – prova a darmi qualche indicazione; cosa ti ricordi della tua tana? Ci sono alberi?”.
“Non è proprio una tana – disse il leprotto – stiamo in mezzo a dell’erba alta e c’è un mucchio di terra lungo lungo e ogni tanto passa come un grande e lunghissimo albero nero, disteso, che corre e fa rumore e fischia forte”.
Pirì s’illuminò: “ma quello è il treno, devi andare vicino alla ferrovia! Coraggio, ti accompagno io, partiamo subito!”. E senza indugio s’incamminò.
Il leprotto lo seguiva, anzi, lo superava e correva avanti. Nonostante fosse piccolo, era pur sempre una lepre e le lepri, si sa, corrono veloci. “Ma non correre così – lo sgridava Pirì – non mi sembra la direzione giusta! Benedetta lepre, fermati! Io non posso correre come te!”.
Ma il leprotto non ascoltava e balzava in avanti sulla carraia, tra i filari, oltre le siepi.
Pirì si fermò. “Basta – disse – fà quello che vuoi, non ti seguo più, non è la strada giusta. Se vuoi perderti ancora fai pure, forse te lo meriti proprio!”. E si appoggiò con le braccia spalancate ad una grande quercia. Era quella la sua posizione di riposo. Sentendosi chiamare il leprotto si fermò, tornò indietro da Pirì e gli chiese: “Perché siamo già fermi? Non siamo mica ancora arrivati!”. “abbiamo sbagliato strada, caro mio – disse Pirì – è inutile correre avanti se non si sa dove! Ma tu fai come ti pare, mi hai stancato e me ne torno in fattoria!”. Il leprotto spaventato scongiurò: “Non lasciarmi solo! Non saprei come fare a tornare, e poi ho una fame terribile! E magari si farà sera e io non avrò trovato né la mamma né qualcosa da mangiare! Come farò? Come farò?
Pirì impietosito lo tranquillizzò: “Senti un po’, tanto per cominciare ti porto a fare uno spuntino, qui a due passi c’è… bè sì, c’è l’orto della fattoria e un caspo d’insalata lo troviamo di sicuro!” trovarono subito, infatti, l’orto e il leprotto si lanciò con avidità sull’insalata e in men che non si dica aveva già fatto la festa ad una decina di caspi dalle foglie tenere.
“Basta per carità! – implorò Piri – di questo passo non resterà più nulla! Pietro sarà infuriato quando lo scopre!” Il leprotto, ormai sazio si toccava il pancino pieno e sorrideva soddisfatto. “Sono pronto a riprendere il cammino, grazie amico mio!
E così, Pirì davanti e il leprotto dietro, piano piano, al passo dello spaventapasseri, ripresero la giusta direzione verso la ferrovia.
Ad un tratto, improvvisamente, si trovarono faccia a faccia con un grosso grugno! Era mamma cinghiale che portava a spasso i suoi piccoli. Pirì spaventato fece un passo indietro e anche la cinghialessa si fermò proteggendo i suoi 5 piccoli dietro di sé. Questa volta fu il leprotto a prendere l’iniziativa. “Come va? – chiese – noi andiamo a spasso! Io veramente mi sono perso e Pirì, lo spaventapasseri mi sta accompagnando a casa! Mamma cinghiale grugnì:
ai miei 5 piccoli non succederà mai! Non provano nemmeno ad allontanarsi da me! Sanno che non la passerebbero liscia. D’altronde hanno capito che lo faccio per loro, per proteggerli dagli uomini, quella gentaglia vestita pressappoco come quello lì”.
Senza nemmeno salutare, se ne andò per la sua strada, grugnendo e grufolando in cerca di radici buone e ghiande per sé e per i suoi cinghialini.
Pirì e il leprotto ripresero ancora una volta il cammino e dopo qualche centinaio di metri si trovarono davanti…la strada! Pirì si appoggiò subito ad un albicocco e il leprotto si nascose dietro di lui. Passarono alcune macchine e un bambino seduto sul sedile posteriore fece le boccacce allo spaventapasseri che però restò là impalato. “Non posso farmi vedere a camminare!” – bisbigliò. Passò un ciclista che sbuffava per la salita spingendo sui pedali. “Bello!” disse ansimando quando vide Pirì. E proseguì.
Non passava nessuno e Pirì seguito dal leprotto attraversarono svelti svelti la strada. Pirì si appoggiò ad un gelso che era da quella parte: stava tornando il ciclista che, in discesa, stavolta andava come un treno.
Passandogli accanto vide lo spaventapasseri e girò la testa indietro sbalordito e confuso tanto che per poco non finiva nel fosso grande con la bicicletta. “Sarà meglio andare a dormire presto stasera!, disse il ciclista riprendendo a pedalare forte.
Pirì e il leprotto continuarono il cammino verso la ferrovia che non distava molto da lì.
Si trovavano in un campo diviso in due: da una parte c’era un terreno coltivato a erba medica e dall’altra un frutteto pieno di susini.
“Ma sì, questo lo conosco – squittì il leprotto – ricordo di essere passato da qui stamattina !”
aveva appena terminato queste parole che incontrarono una bellissima lepre che correva veloce.
“Mamma!” – gridò il piccolo leprotto – “Eccoti finalmente ! – rispose, ma dove ti eri cacciato? Ti ho cercato dappertutto!”
“volevo solo guardare un po’ i campi qua attorno, e così mi sono perso, ma per fortuna ho incontrato Pirì – questo simpatico spaventapasseri che mi ha guidato fin qui! Sapessi, abbiamo perfino incontrato il cinghiale! E la strada e le macchine, e il ciclista!”
“E avrai magari fame!. “Macchè – continuò – Pirì mi ha offerto un magnifico pranzo: insalata e radicchio di prima qualità!”.
Tutta felice, la lepre invitò lo spaventapasseri alla tana che si trovava proprio nella scarpata della ferrovia, coperta d’erbe, cespugli e frasche. “Complimenti! Si congratulò Pirì, è un bel posto e anche ben protetto, non è facile da trovare! In quella sferragliando passò il treno. Era molto lungo e Pirì vide che c’erano persone a bordo che guardavano fuori dal finestrino.
“Sarebbe bello poter viaggiare col treno e andare lontano e vedere posti nuovi. Va bè, mi dovrò accontentare”. Poi si rivolse al leprotto e alla mamma dicendo “è ora di fare ritorno alla fattoria! Non vorrei che tornassero tutti senza trovarmi al mio posto!” “Grazie – disse il leprotto – sei stato gentilissimo, davvero! Tornerò a trovarti e magari farò un saltino nell’orto!” “Ehm, ti prego, magari lascia stare l’orto – rispose imbarazzato Pirì – perché se ti trovano, sono guai!” Mamma lepre disse: “Grazie di avermi riportato questo birichino, ti voglio regalare questa carota, è poca roba, però è molto buona!”.
E così si salutarono tutti allegramente e Pirì tornò alla fattoria; raggiunto il noce si piazzò nella posizione originaria e trovò Annibale di guardia che brontolò parecchio con lui per tutto il tempo che era stato via. Ma in quella, proprio allora ero di ritorno io con la famiglia. Dopo aver parcheggiato l’auto e salutato il cane che faceva festa a tutti, andai subito ad innaffiare l’orto: le ore serali sono le migliori, infatti, per questo lavoro. Scoprii naturalmente che mancava un bel po’ d’insalata e finito d’innaffiare tornai a casa indispettito: “E voi due cosa ci state a fare? – dissi con Annibale e con Pirì – vi lascio di guardia e scopro che nell’orto qualcuno ha rubato l’insalata!”
Annibale stava zitto zitto. “È meglio che ti metta a dormire!” Presi Pirì per sistemarlo sotto la tettoia dove stava di notte al riparo di temporali e mi accorsi che dal taschino spuntava fuori…una bella carota arancione.
Ero sempre più perplesso. Confuso anche. Guardai Pirì e vidi sul suo bel faccione un sorriso a metà tra il furbesco e l’imbarazzato. Rinunciai a capirci qualcosa e andai a dare da mangiare alle pecore che aspettavano il fieno belando.